CARTELLA CLINICA / Requisiti formali / Conservazione / L'obbligo di conservazione
L’obbligo di conservazione della cartella clinica
è un naturale precipitato della sua natura pubblica e della sua funzione
di documentazione del servizio ospedaliero.
Si distinguono allora due fasi, corrispondenti ai diversi momenti di vita della
cartella e ai diversi soggetti responsabili per la sua conservazione.
Nella prima fase, in cui il paziente è degente, la cartella clinica resta
in reparto e la responsabilità della sua conservazione compete al Direttore
dell’Unità operativa e a chi da lui delegato; in seguito, successivamente
alla dimissione del ricoverato, essa perviene all’ archivio clinico e
da questo momento fino alla consegna agli archivi centrali risponde alla sua
conservazione la Direzione sanitaria (direttore sanitario e i medici che vi
lavorano).
A questo proposito non sembra inutile puntualizzare che né il paziente,
cui la cartella clinica pur si riferisce, né il medico curante, che pur
ha provveduto alla sua stesura, sono titolari di alcun diritto di proprietà
su di essa, che è un prodotto strumentale del pubblico servizio e perciò
segue il regime giuridico di questo.
Ciò significa che essa è soggetta al regime patrimoniale indisponibile
dei documenti pubblici, quale risulta dall’art.830
cc , 2° comma, che rimanda a sua volta all’art.828
cc e alle leggi speciali sugli archivi di Stato.
Sotto quest’ultimo profilo, non appare infondata la critica della maggioranza
degli operatori del settore medico, che lamentano la mancanza di un modello
di archivio sanitario a cui uniformarsi e la scarsa efficienza del sistema di
raccolta, di archiviazione e di trasmissione delle informazioni, in difetto
di una centralizzazione degli archivi ospedalieri.
Il problema è ancora più attuale, se si considera che il Ministero
della Sanità ha prescritto che le cartelle cliniche vadano conservate
illimitatamente, perchè rappresentano un atto ufficiale indispensabile
a garantire la certezza del diritto (circolare
n. 900/1986).